Un documento del CNDCEC presenta alcuni casi applicativi che agevolano il calcolo pratico delle misure di EBITDA e PFN
Il CNDCEC ha pubblicato il documento di ricerca “EBITDA e PFN ai fini valutativi e negoziali” che rappresenta un utile riferimento per i professionisti nei vari contesti (quali operazioni straordinarie e di M&A) in cui le due grandezze contabili sono utilizzate. Nelle premesse si sottolinea come in ambito finanziario i due indicatori vengano impiegati congiuntamente per il calcolo di uno dei più comuni indici di sostenibilità finanziaria, il rapporto PFN/EBITDA, che “assume una significativa valenza per svariati utilizzi quali la misurazione del merito creditizio e l’attribuzione di un credit rating, l’analisi della performance finanziaria di periodo e la scrittura di specifiche clausole di disciplina finanziari nei contratti di finanziamento (c.d. covenants)”.
Con riferimento all’EBITDA, dopo aver proposto una definizione che ha origine non teorica bensì empirica, il documento si sofferma su alcune componenti di costo o ricavo la cui inclusione o esclusione in tale grandezza nella prassi “non è sempre pacifica, ma deve essere valutata in funzione dello specifico contesto”.
Per quanto riguarda, ad esempio, le “svalutazioni dei crediti compresi nell’attivo circolante e delle disponibilità liquide”, si sottolinea che la voce (B.10.d di Conto economico) accoglie nella sostanza gli accantonamenti al fondo svalutazione crediti a fronte del probabile rischio di inesigibilità di taluni crediti commerciali. Si osserva come a tale appostazione non corrisponda alcun esborso finanziario e ciò consentirebbe di poterne valutare l’esclusione dall’EBITDA. La questione è però trattata in modo difforme e, talora, anche per motivi di prudenza, si procede all’inclusione della svalutazione crediti nella misurazione dell’EBITDA.
Vengono poi individuate alcune rettifiche alla nozione di tale grandezza che la prassi delle operazioni di M&A ha introdotto nell’ultimo decennio, motivate principalmente da esigenze negoziali. In tali sedi l’uso del parametro risponde a logiche che ne esaltano la capacità di esprimere la “normale generazione di cassa”. Ciò comporta sia una rivisitazione della nozione stessa di EBITDA che la considerazione di rettifiche di normalizzazione che prevedono l’esclusione di componenti di costo o ricavo ritenute anomale, inusuali e/o straordinarie e, quindi, non ricorrenti. Tra le poste inusuali e non ricorrenti vengono ricordate le seguenti:
– plusvalenze e minusvalenze realizzate in occasione delle cessioni di rami di attività, nonché i relativi costi accessori;
– costi o proventi derivanti da svalutazioni/rivalutazioni/riprese di valore;
– indennizzi assicurativi o contrattuali ricevuti o subiti;
– contributi pubblici ottenuti a seguito di norme temporanee;
– costi sostenuti per operazioni straordinarie;
– costi per progetti di riorganizzazione societaria e progetti di efficientamento, aventi caratteristiche di azioni strategiche di natura non ricorrente nel futuro;
– oneri legati a contenziosi legali e relativi accessori;
– sopravvenienze attive o passive di rilievo.
Ulteriori voci da tenere in considerazione nei casi di imprese a carattere famigliare possono essere relative a costi discrezionali e non strettamente funzionali alla normale operatività aziendale (come spese di rappresentanza, spese per sponsorizzazioni, benefit per il management), spese/ricavi imputabili all’imprenditore e alla sua famiglia, compensi e bonus dell’imprenditore e dei famigliari che si discostano in maniera significativa dai valori di mercato nonché stipendi a famigliari non strategici per l’attività.
Per quanto attiene alla PFN, viene innanzitutto ricordata l’esistenza di un assetto definitorio sviluppato almeno a partire dal 2005 a cura del CESR (Committee of European Securities Regulators), ora ESMA (European securities and markets authority), e in Italia da CONSOB (con una Comunicazione del 2006) e più recentemente oggetto di aggiornamento (2021). Nel documento in esame vengono individuate le rettifiche al calcolo della PFN, che nella prassi negoziale delle operazioni di M&A costituiscono oggetto di discussione.
Così, ad esempio, si evidenzia come il trattamento di fine rapporto (TFR) desti sempre qualche controversia sulla sua inclusione o esclusione nel calcolo della PFN. Sulla base di un’impostazione prettamente aziendalistica, di scuola italiana, tale fondo sarebbe da considerare come parte della gestione corrente, in quanto da esso originato, e sarebbe, pertanto, da escludere dal calcolo della PFN. In senso contrario, secondo un’impostazione internazionale, di scuola anglosassone, tale posta è a tutti gli effetti da considerare “un debito assimilabile ai debiti finanziari, in quanto richiedente una rivalutazione periodica, e quindi de facto produttivo di oneri finanziari nel bilancio aziendale”. Si precisa che la seconda impostazione rappresenta ormai uno standard applicativo nell’ambito della prassi professionale e, quindi, il TFR viene considerato come elemento aggiuntivo nel calcolo della PFN.
Nella parte finale del documento sono presentati alcuni casi applicativi che possono essere utili per una piena comprensione di quanto discusso in precedenza.
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