Biennio di permanenza in Italia degli impatriati computato con criteri fiscali

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Secondo l’Agenzia delle Entrate non è necessario rimanere in Italia per un biennio di calendario

I soggetti che intendono fruire dell’agevolazione relativa ai lavoratori impatriati di cui all’art. 16 del DLgs. 147/2015 devono, tra le altre, rispettare una particolare regola di cautela che si sostanzia nella permanenza in Italia per almeno 2 anni.

Va detto che tale requisito rappresenta un unicum posto che le altre agevolazioni, pur legate all’acquisizione della residenza in Italia, come ad esempio il regime dei neo-residenti di cui all’art. 24-bis del TUIR o il regime di imposizione sostitutiva per i titolari di pensione estera di cui all’art. 24-ter del TUIR, non prescrivono un periodo minimo di permanenza in Italia.

Diversamente, per ciò che concerne gli impatriati, l’art. 3 del DM 26 maggio 2016 dispone che “il beneficiario degli incentivi di cui al predetto articolo 16, comma 1, del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 147, decade dal diritto agli stessi laddove la residenza in Italia non sia mantenuta per almeno due anni. In tal caso si provvede al recupero dei benefici già fruiti, con applicazione delle relative sanzioni e interessi”.
La prassi di commento all’agevolazione non fornisce chiarimenti in merito allo specifico regime sanzionatorio; non è quindi chiaro se, nella predetta ipotesi di decadenza, risulti applicabile la sanzione per omesso versamento o quella, maggiormente gravosa, per dichiarazione infedele.

Per espressa disposizione normativa, quindi, il beneficiario decade dall’agevolazione se trasferisce la propria residenza al di fuori dall’Italia prima che siano decorsi 2 anni dal suo trasferimento nel territorio dello Stato.
Si tratta di un requisito da valutare con attenzione ai fini delle decisioni relative al trasferimento “fisico” della persona; in tale contesto, vanno attentamente considerate le modalità di computo del biennio in esame, anche alla luce della particolare circostanza che, essendo ormai superata la prima metà dell’anno, un eventuale trasferimento all’estero in questo periodo non produrrebbe il risultato di far perdere alla persona la residenza italiana per il periodo di imposta 2021.

Ciò assume rilievo esaminando le modalità di computo del suddetto biennio illustrate dall’Agenzia delle Entrate nella circolare n. 17/2017, Parte II, § 3.6.
Nello specifico, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che il biennio di permanenza nel territorio dello Stato decorre dal periodo di imposta in cui il lavoratore diviene fiscalmente residente, ciò in coerenza con il presupposto dell’agevolazione in esame, basato sulla acquisizione della residenza fiscale ai sensi dell’art. 2 del TUIR.

Dagli esempi proposti dall’Agenzia si evince come il suddetto biennio sia computato avendo riguardo al periodo di permanenza in Italia fiscalmente rilevante (183 giorni), non essendo invece necessario rimanere in Italia per un biennio di calendario.
Infatti, nel caso in cui il lavoratore si sia trasferito in Italia nel mese di marzo 2020, acquisendo la residenza fiscale per l’intero anno, il biennio, secondo l’Agenzia, può ritenersi compiuto il 3 luglio 2021, vale a dire una volta trascorsi i 183 giorni previsti dall’art. 2 comma 2 del TUIR. In tal caso, un eventuale trasferimento dall’Italia nel mese di settembre del 2021 non porterebbe alla revoca dei benefici.

In linea di principio, quindi, anche la persona che materialmente è presente in Italia per 13-14 mesi (in teoria, anche 12 mesi più due giorni) può beneficiare delle agevolazioni, previa corretta pianificazione dei trasferimenti in ingresso e in uscita.
Diversamente, nel caso in cui il lavoratore si sia trasferito in Italia nel mese di agosto 2020, non potendo essere considerato fiscalmente residente in Italia in detto anno, il biennio comincerà a decorrere dal periodo d’imposta successivo (2021) e potrà ritenersi compiuto il 3 luglio 2022, una volta trascorsi i suddetti 183 giorni.

In tale seconda ipotesi, quindi, un eventuale trasferimento dall’Italia nella seconda metà del 2021 porterebbe alla revoca dei benefici.
Le considerazioni di cui sopra, naturalmente, devono essere valutate con estrema attenzione, posto che i semplici esempi posti postulano una identità tra trasferimento fisico della persona e acquisizione/perdita della residenza fiscale; si tratta di una semplificazione da gestire con cura, in quanto è pur sempre possibile che, a fronte del trasferimento fisico della persona e dell’acquisizione/perdita della residenza anagrafica, restino nello Stato di provenienza elementi tali da fare ritenere ivi localizzato il centro degli interessi vitali e, di conseguenza, la residenza fiscale.

Fonte: Eutekne

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