Regime forfettario 2019

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La prima fase dell’«operazione flat tax» annunciata dal Governo prende avvio dalle partita Iva. Con la legge di Bilancio (145/2018) è stata allargata la porta d’accesso al regime forfettario, che prevede per gli autonomi – professionisti o imprenditori – la tassa piatta al 15%, sostituiva dell’imposta sul reddito, delle addizionali regionali e comunali e dell’Irap. Tassa che si riduce al 5% per le persone fisiche che iniziano nuove attività, per il periodo d’imposta di avvio e per i quattro anni successivi.

Senza dimenticare il vantaggio di non dover emettere le fatture in formato elettronico (tranne quelle, eventuali, verso la Pa) e di non dover conservare in modalità elettronica le e-fatture ricevute (a meno che il contribuente non abbia comunicato al proprio fornitore la Pec o il codice destinatario).

Platea più ampia

In primis, viene alzato il livello di compensi o ricavi ammesso: non più soglie variabili a seconda delle attività (dai 30mila euro dei professionisti ai 50mila dei commercianti), ma un unico limite, pari a 65mila e valido per tutti. Ma non solo. Cadono anche altri paletti che erano in vigore nel 2018: il tetto alle spese per il personale (5mila euro), al costo per i beni strumentali (20mila euro) e al reddito da lavoro dipendente o assimilato (30mila euro) per chi utilizza il forfait per svolgere un “secondo lavoro”.

Come contropartita alle aperture, per il 2019 arriva anche un vincolo “antielusivo”: i forfettari non possono svolgere l’attività in prevalenza nei confronti del datore di lavoro attuale (o di chi lo è stato nei due anni precedenti) oppure di un soggetto a lui riconducibile. Resta poi lo “stop” a chi partecipa a società di persone, associazioni o imprese familiari. Così come a chi detiene il controllo diretto o indiretto su Srl o associazioni in partecipazione che esercitano attività economiche riconducibili a quelle del forfait (quindi, le quote di minoranza o il controllo di realtà che svolgono altre attività non sono ostativi).

Ingressi e permanenze

I percorsi di accesso al forfait, illustrati in questa guida, sono diversi. C’è chi apre ora una nuova partita Iva; chi l’anno scorso era già nel regime agevolato, e ha mantenuto i requsiti per rimanervi; e chi vi entra proprio in virtù dell’innalzamento della soglia, ma sempre osservando tutti gli altri requisiti richiesti.

Ciò che non cambia è il coefficiente di redditività, vale a dire il moltiplicatore da applicare ai ricavi per calcolare il reddito (sul quale va poi applicata l’aliquota del 15% o 5%, ferma restando la deducibilità dei contributi previdenziali). Eccoli nel dettaglio:

– 40%: industrie alimentari e delle bevande; commercio all’ingrosso e al dettaglio; commercio ambulante di prodotti alimentari e bevande; attività dei servizi di alloggio e di ristorazione;

– 54%: commercio ambulante di altri prodotti;

– 62%: intermediari del commercio;

– 78%: attività professionali, scientifiche, tecniche, sanitarie, di istruzione, servizi finanziari e assicurativi;

– 86%: costruzioni e attività immobiliari;

– 67%: altre attività economiche.

Lo step futuro

La seconda fase del forfait è anch’essa delineata dalla legge di Bilancio ed entrerà in vigore nel 2020, quando all’attuale imposta sostitutiva del 15% se ne aggiungerà un’altra. Una tassa piatta del 20% riservata a chi nell’anno precedente avrà conseguito ricavi o percepito compensi superiori a 65mila euro (e fino a 100mila euro). Con gli stessi meccanismi di esclusione già previsti per gli altri forfettari. Ma di questo se ne parlerà nel 2020, salvo modifiche eventualmente decise dalla prossima legge di Bilancio.

Fonte: Il Sole 24 Ore

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